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Una città d'autore : Trieste attraverso gli scrittori / Elvio Guagnini - Reggio Emilia : Diabasis , 2008 - 224 p. - recensione a cura di Marco Virgulto.


Il volume raccoglie i 33 articoli – introdotti qui da una premessa – scritti da Elvio Guagnini tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004 per «Il Piccolo» di Trieste. Si tratta di articoli che hanno presentato trentuno volumi pubblicati dal quotidiano e scelti dallo stesso Guagnini per la realizzazione di una collana di “classici” intitolata «Trieste d’autore». Obiettivo finale era la costituzione di una biblioteca di base per una definizione della letteratura novecentesca a Trieste e dei suoi echi nel discorso letterario nazionale. A conclusione dell’operazione editoriale del quotidiano triestino, la collaborazione con Guagnini ha portato alla pubblicazione del presente volume, che eredita l’intento divulgativo e introduttivo dell’intero progetto. «Trieste è una città che soffre – da sempre – del complesso di emarginazione» (p.7): questo è il primo squarcio della città che ci offre Guagnini. Essa incarna la periferia italiana, una terra di frontiera che diventa comunque protagonista di pagine letterarie di grande diffusione e che sopravvivono nel tempo. È già trascorso un secolo da quando la letteratura triestina ha trovato il suo riconoscimento ufficiale nel panorama culturale italiano: erano gli anni – tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento – in cui scrittori come Svevo, Slataper, Saba (solo per citarne alcuni) iniziavano a osservare, annotare, raccontare la loro città. Crocevia di civiltà, Trieste e il suo entroterra sono luoghi in cui idee e persone dalla diversa provenienza si incontrano, si confrontano e alle volte si scontrano: un campo d’osservazione privilegiato per analizzare conflitti e dinamiche tipiche della contemporaneità. L’immigrato e il problema dell’integrazione, il difficile rapporto tra padre e figlio che porta quasi sempre allo scontro generazionale, le paure di giovani che crescono tra le scoperte di nuovi mondi come quello del sesso, la ‘catalogazione’ sociale ed economica tra vincenti e inetti. Si tratta di problematiche sociali e di questioni letterarie non solo italiane, ma che sono eco di uno spirito ‘sopranazionale’ e non internazionale, come amava puntualizzare Carolus L. Cergoly. Quella triestina è una letteratura dalla forte problematica morale che fortunatamente non si ferma esclusivamente a coloro i quali hanno iniziato tale tradizione; si rinnova, invece, con l’impegno di nuove generazioni fortemente motivate nell’approfondire tale realtà multiforme che si trasforma necessariamente nel tempo. Sono gli anni Sessanta, da poco Trieste è tornata all’Italia, e scrittori come Voghera, Burdin, Tomizza, o Mattioni segnano una nuova ripresa di vitalità culturale. Danubio (Garzanti: Milano, 1986) di Claudio Magris è un esempio di questa ri-generazione letteraria triestina. Secondo volume della collana, l’opera si inserisce nella letteratura di viaggio, ma è anche altro: attraverso la sua scrittura dal «vasto respiro», come la definisce Guagnini, Magris mira all’intreccio di vari generi, linguaggi e registri. In tal modo ricrea, anche a livello formale, quel miscuglio socio-culturale che è tipico dell’identità mitteleuropea: «una civiltà dai connotati unitari che risultano dalla composizione di una molteplicità e variegatura notevole […]» (p.22). Ma le frontiere da varcare non sono soltanto quelle geografiche, politiche o sociali. È proprio Magris a ricordarci che l’uomo viaggia non solo «in quella Babele del mondo odierno», ma anche «nei propri inferi» (Fra il Danubio e il mare, Garzanti: Milano, 2001). Lì dove non sempre i pensieri sono alla luce e tante ombre fanno paura, la ricerca diventa profondamente intima e fondante per colui che inizia quel viaggio. La problematizzazione morale, l’analisi psicologica - tratti costitutivi della primissima produzione triestina - si rinnovano nel “rinascimento triestino” fino ad arrivare ai nostri giorni. Non si può non ricordare Renzo Rosso e il suo L’adescamento (Feltrinelli: Milano, 1959). Si tratta di tre racconti che presentano tre diverse vicende umane. Disarmati e inermi davanti alla complessità della realtà, i tre personaggi sono ‘adescati’ dall’ambiguità del male, dell’eros e dell’amicizia. Gli irti sentieri dello scavo psicologico sono battuti da Rosso per cercare di comprendere sentimenti, contraddizioni che spesso si rivelano sfuggenti. Ma ciò non ha importanza: è intraprendere tale percorso che interessa, mirare a «giungere al cuore delle cose», come scriveva Saba. Nonostante il volume sia sostanzialmente una raccolta di saggi ‘introduttivi’, le scelte di Guagnini incuriosiscono, per gli incontri imprevisti che consentono al lettore, come quello con l’unico romanzo di Saba, Ernesto, pubblicato postumo e incompleto nel 1975. Impreviste e vibranti sono anche le rare parentesi - dal tono familiare - che accomunano Guagnini (anch’egli triestino) ad alcuni scrittori della collana. Svevo, Magris, Tomizza, Tamaro, Quarantotto Gambini, Carpinteri & Faraguna, Bettiza, Rosso, Voghera, Saba, Pressburger, Slataper, Stuparich, Covacich, Mattioni, Madieri, Cecovini, Verne, Marin, Scerbanenco, Maurensig, Rumiz, Kezich, Chiara, Del Giudice, Pahor, Bianchi, Cergoly, Spirito: non è un vuoto elenco. Non è una semplice collaborazione ad una iniziativa editoriale. Quello di Elvio Guagnini (tra i più noti e importanti studiosi italiani di letteratura di viaggio) è un appassionato e appassionante lavoro di ricerca. C’era un mito da onorare, quello della «città di carta», in cerca di una testimonianza critica dei nostri giorni. Ed è quella che ci offre Guagnini. MARCO VIRGULTO



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2008

XXI


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