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Le icone della lontananza : carte di esilio e viaggi di carta / Giuseppe De Marco - Roma : Salerno, 2008 - 234 p. - recensione a cura di Sara De Giorgi.


Giuseppe De Marco in Le icone della lontananza raccoglie alcuni saggi legati da un filo conduttore: il concetto di viaggio. Più specificamente, esilio-viaggio è il tema dominante del percorso letterario, in cui l’attenzione è rivolta a singoli testi e alla loro scrittura itinerante, narrativa e poetica. Nella prima parte del libro si analizza la nobiltà con cui Dante Alighieri ha vissuto, accettato ed elaborato la propria condizione di esule che, attraverso i secoli, ha elevato il poeta ad «un livello sublime». Il motivo del viaggio è proposto nella seconda parte del volume, in cui sono presenti gli itinerari di Ungaretti nel Mezzogiorno e nelle Puglie, i percorsi effettuati in Sardegna da Vittorini e raccontati nel libro Sardegna come un’infanzia e quelli, sempre in territorio sardo, svolti da Carlo Levi e narrati in Tutto il miele è finito. Questi autori sono accomunati da una trasfigurazione della realtà attuata dalla scrittura di viaggio. Negli Addenda, ultima sezione del testo, vengono esaminati invece il Congedo del viaggiatore cerimonioso ed altre prosopopee di Giorgio Caproni, le Lettere di Pasolini, il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini di Mario Luzi e il dialetto arcaico di Nun c’è pizze di munne, una delle ultime opere di Albino Pierro. La seconda parte, Di alcuni viaggi di carta novecenteschi, inizia con la sezione I fantasmi della mente. Oltre il deserto. Verso la terra promessa: viaggio nel Mezzogiorno di Ungaretti. De Marco traccia il percorso geografico e letterario che ricava dalle prose ungarettiane, puntualizzando che esse si configurano come abile amalgama di prose d’arte ad elevato contenuto di creazione metaforica. Viaggiare, per Ungaretti, è trasfigurare le «cose viste» nelle orme del suo nomadismo, in cui scenario della realtà e ragioni della scrittura coincidono, in un percorso teso all’inseguimento di «fantasmi della mente». Secondo De Marco è possibile affermare che l’itinerario nel Mezzogiorno rappresenta un viaggio «nella biblioteca dei propri, ossessivi, miti». La trattazione delle prose di viaggio del poeta prosegue nella sezione intitolata Un percorso ungarettiano di fantasia esperita: Le Puglie attraverso le icone dell’acqua, della luce, del deserto, della pietra e loro variazioni compositive sul/dal tema. I resoconti di questo itinerario rientrano a pieno titolo nella letteratura odeporica adriatica. Seguendo quanto scrive De Marco, la narrazione ungarettiana non può essere ritenuta scrittura occasionale da racchiudere in un indefinibile genere letterario «instabile» (cfr. V. De Caprio, Un genere letterario instabile), ma il viaggio, per il poeta, costituisce un aspetto peculiare del suo nomadismo, che è «categoria astratta», dimensione della mente e condizione della poesia. Ungaretti poeta e prosatore è costantemente in fuga verso una patria e una meta a lui ignote ed avverte una consapevolezza di estraneità in qualunque luogo si trovi. Tutte le prose del viaggiatore sono popolate da «apparenze e fantasmi», reinventate da uno stato di sogno, ma sorrette anche da una solida cultura e dalla memoria libresca. La narrazione del viaggio pugliese inizia con la descrizione dell’arido Tavoliere, che, con il risveglio dei fantasmi della mente nella luminosità di una fittizia giornata estiva, fa riaffiorare i ricordi della terra natale «affricana», arsa da un sole «creatore di solitudine». Il poeta visita Santa Maria Maggiore Sipontina, ove viene attratto e stupito dalla visione, in un cavo d’abside, degli «occhi sbarrati d’una statua di legno dipinta». L’itinerario prosegue attraverso le rovine monumentali tra le Paludi Sipontine, recentemente bonificate, il cui scenario è costituito da torri e selve di fichidindia. Ungaretti cerca soprattutto di riscoprire l’antico, come testimonia la vista dell’arcano monumento della Tomba di Rotari a Montesantangelo, considerato al tempo stesso una tomba e un battistero. L’arrivo nel «paese del grano e delle greggi», Montesantangelo (comune in provincia di Foggia), avviene nell’atmosfera luminosa e numinosa di una giornata sul «nascere di primavera». Il racconto dell’Angelo della caverna è permeato dal rimpianto dell’infanzia del mondo e delle favole antiche: qui si avverte come Ungaretti condivida con Petrarca, «poeta dell’oblio», la religio della memoria e il cultus per i «fantasmi della mente». La visita alla città di Lucera si svolge sotto una duplice guida, quella del direttore della Biblioteca civica e storico famoso, Giambattista Gifuni, e quella ideale di Dante. Vi sono mirabili descrizioni ricche di illuminazioni poetiche del Duomo della città di Santa Maria e del palatium federiciano. Ungaretti ricrea persino un dialogo immaginario con Federico II, che ha luogo nello spazio di una pausa di una delle famose battute di caccia a cui partecipava l’imperatore svevo, scortato dal mitico corteo di cortigiani, eunuchi, favorite, animali esotici. L’iter pugliese continua fino a Foggia, da cui il poeta si sposta per dirigersi a Canosa attraverso la via Traiana, spingendosi fino a Bari e poi a Venosa. Incontra dapprima, in prossimità di Foggia, il Piano delle fosse, «piazza a perdita d’occhio che nasconde un’infinità di pozzi e che conserva il grano della provincia», poi, a Canosa, viene attratto dalla tomba monumentale, in stile bizantino-arabo, di Boemondo d’Altavilla, figlio di Roberto Il Guiscardo, tra i fautori della prima Crociata. Il percorso termina a Caposele. De Marco giunge alla conclusione che il viaggio nelle Puglie si svolge verso orizzonti di geografia mitico-lirica, sullo sfondo di paesaggi risolti nella metafora del testo. Nelle prose tutto il cosmo ruota intorno all’acqua e alla terra, e da ciò si ricava un elemento di scorrevolezza-solidità di un luogo e un’individuazione di sublimità paesaggistiche dalle quali riecheggia l’icona del Nilo. Le mete scelte da Ungaretti sono morfologicamente strutturate dall’orizzontalità delle terre, riproposizioni della metafora dell’aridità desertica, che è anche soglia dell’infinito. Il saggista osserva, in ultimo, che il deserto del poeta è luogo in cui si espande la luce, e, allo stesso tempo, ebbrezza dello spazio e smarrimento della ragione, tutti aspetti che costituiscono un preludio alla poesia del «delirio», del miraggio, verso cui Ungaretti si dirigerà nella successiva poetica legata al barocco. Il volume di De Marco traccia un percorso letterario agile ed affascinante che si regge sulla compresenza di saggi su autori differenti, in una dimensione composta da carte e da parole, a volte lontane tra loro, ma spesso unite dall’emergere delle medesime «icone della lontananza», stemperate nel dolore del distacco e del ricordo.

Sara De Giorgi


Monografia






2008

XXI




critica letteraria (literary criticism), reportages letterari, Puglia

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