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Seduzione e coercizione in Adriatico : reti, attori e strategie / a cura di Franco Botta – Milano : Angeli, 2009 – 158 p. – recensione a cura di Anna Pina Paladini.


«Il mare unisce i paesi che separa» scriveva Alexander Pope ne “La foresta di Winsor” (1713). Lo stesso messaggio sembra suggerirci questo volume, che ci restituisce un’immagine dell’Adriatico come luogo privilegiato dell’intessersi di reti eterogenee di lontana origine – politiche, commerciali, culturali, sociali – e come spazio dell’odierno attuarsi di strategie di cooperazione, che richiedono un’attenta riflessione degli attori locali, nazionali ed internazionali in esse coinvolti. In questo sconfinamento oltre i limiti statali, verso una prospettiva che abbraccia le «relazioni di prossimità» si sente l’eco della scuola storiografica delle “Annales”, in particolare degli insegnamenti di Fernand Braudel ne “La Méditerranée” e dei suoi epigoni, si avverte l’esigenza di dare spessore politico e culturale ad una realtà presente ma ancora confinata negli interstizi tra il dominio degli Stati-Nazione e il consolidarsi di forme istituzionali sovranazionali come l’Unione Europea. L’angolo visuale prescelto per affrontare l’argomento è l’Italia, quasi mai intesa esclusivamente come entità statale, monolite indifferenziato, bensì articolata nella varietà delle sue componenti regionali e locali, in grado di giocare, a volte più e meglio del potere centrale, un ruolo da protagoniste nello scacchiere dell’Adriatico. In apertura, il contributo di Massimo Bucarelli sul tema “Un’amicizia tardiva: la politica jugoslava dell’Italia repubblicana (1945-1992)”, analizza i rapporti tra i due paesi dalla fine della seconda guerra mondiale alla dissoluzione dello stato balcanico, rapporti regolati prevalentemente dalla questione territoriale. L’istituzione del Territorio Libero di Trieste nel 1947, con la divisione in una zona di influenza italiana e una jugoslava, fa di questa città la «variante adriatica della cortina di ferro»; le aspirazioni di riunificazione dell’area sotto il controllo italiano diventano più difficilmente realizzabili quando il governo di Belgrado si allontana dal Cominform e si lega al blocco occidentale. Da questo momento in poi l’evolversi delle relazioni tra i due Stati sembra procedere su due binari paralleli e in direzioni opposte. I governi centrali gestiscono le trattative per la soluzione della contesa territoriale – poi culminate negli Accordi di Osimo (1975) – seguendo una politica di potenza protesa, sul fronte italiano, ad ottenere un ruolo preminente nell’Europa adriatica, secondo un disegno che sarà vanificato dalla dissoluzione della Jugoslavia; allo stesso tempo, la società civile delle aree interessate e gli enti locali avviano un’intensa collaborazione economica ed un proficuo scambio culturale mediante l’istituzione della Comunità Alpe Adria, che culminerà nell’Associazione Centroeuropea del 1989, grazie alla quale l’Adriatico tornerà ad essere punto d’incontro e di promozione di una politica comune in diversi ambiti. Le interessanti riflessioni sollecitate da questo saggio sul rapporto tra centro e periferia nelle vicende internazionali, sulle incoerenze tra scelte politiche e priorità economiche sembrano trovare una risposta nel saggio di Franco Botta (“La differenza italiana nelle relazioni di prossimità”), in cui l’assunto della debolezza dell’identità italiana e della conseguente incapacità di adottare una strategia unitaria, specie nelle arene internazionali, apre la strada ad un’interpretazione che, anziché insistere sui limiti di una simile caratterizzazione del nostro Paese, ne individua le potenzialità proprio con riferimento allo scenario adriatico. Qui, come nell’area mediterranea, l’Italia assume un incarico di primo piano nella cooperazione transfrontaliera in virtù della capacità dei suoi attori sub istituzionali (Regioni, Province, Comuni, Università, Camere di commercio) di esercitare un potere di attrazione ovvero di seduzione (il cosiddetto soft power), prim’ancora che per un consapevole disegno d’interesse nazionale promosso dai governi. Poi l’analisi si traduce in una «ipotesi di lavoro», che prevede la valorizzazione, con l’appoggio dello Stato, degli elementi che sostanziano la nostra capacità attrattiva (la cultura, intesa come insieme di valori, e gli scambi materiali ed intellettuali), ma prospetta anche l’avvio di un processo di decentramento. “L’interscambio commerciale tra l’Italia e gli altri Stati adriatici” di Giulio Cainelli e Annunziata de Felice evidenzia la rilevanza di uno degli aspetti appena indicati come costitutivi del soft power, ovvero le relazioni di import-export tra i Paesi dell’area in esame nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2007. In quest’ambito fattori essenziali di sviluppo sono proprio la vicinanza spaziale, l’eterogeneità socio-economica dell’area balcanica e la diversificazione dell’esportazione italiana, che, assieme a processi di carattere economico di più ampio respiro, come le esigenze di divisione internazionale del lavoro, determinano una sempre maggiore integrazione dei mercati e fanno ben sperare nelle potenzialità economiche dell’area. Giovanna Scianatico, nel suo intervento su “Reti culturali. Il modello del Cisva” (Centro Interuniversitario Internazionale di Studi sul Viaggio Adriatico), presenta la ricerca in rete “Viaggio Adriatico” come prototipo di un nuovo modo di costruire gli scambi culturali in un’ottica che supera la dimensione nazionale, i cui confini territoriali sono sovente identificati con le linee di demarcazione del rapporto tra continuità /discontinuità, similarità/alterità, «lo stesso»/«l’altro»; in altre parole, sono elevati a criterio interpretativo. L’A. pone, invece, al centro della sua analisi il concetto di Euroregione Adriatica, improntato sulla vicinanza geografica tra Paesi segnati da una forte coscienza di sé (Italia, Croazia, Serbia e Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Albania, Slovenia), e sulla letteratura di viaggio, tema che si offre al tempo stesso «come testimonianza reale e metafora di un rapporto aperto di conoscenza, scambio, progressiva condivisione». Il progetto rivolge lo sguardo contestualmente al passato e al futuro: con esso ci si volge indietro, in cerca di tracce di un’identità condivisa tra i paesi dell’area adriatica partners dell’iniziativa, e si prospetta all’orizzonte il viaggio adriatico, nuova frontiera di un turismo culturale che riconosce alla letteratura il duplice ruolo di artefice del sentimento di appartenenza comunitaria e di strumento ermeneutico proteso a suggerire una diversa percezione del territorio. A tal fine, dalla collaborazione di Enti locali diversi è nata la Rete Interadriatica, una sorta di braccio istituzionale del progetto, della quale l’autrice esamina, con spiccato senso critico, gli elementi di debolezza e le viscosità che ne rallentano il decollo; ad essa è affidato il compito – e la speranza – di tradurre in programmi concreti di promozione turistica le appassionanti suggestioni provenienti dal laboratorio culturale del Cisva. Chiude la raccolta di saggi Antonello Scialdone con il contributo “Percorsi migratori e rappresentazioni dell’accoglienza”, che presenta i risultati di un’inchiesta svolta in tre regioni italiane affacciate sull’Adriatico (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Abruzzo) su un campione di immigrati provenienti dall’area balcanica. Essa è finalizzata sia alla conoscenza della loro opinione sulle politiche per l’integrazione e la convivenza interetnica, frutto, in base al Testo Unico del 1998, dell’iniziativa delle regioni, sia all’individuazione dei fattori locali di attrattività, ossia della capacità di richiamare e trattenere popolazione straniera. Da un lato, emerge il quadro di un’integrazione ancora non perfettamente riuscita, perché immatura nella sua più nobile manifestazione (la partecipazione alla vita sociale e politica del nostro Paese da parte degli immigrati è ancora lontana dall’essere realtà concreta); dall’altro, acquista concretezza l’importanza, in simili processi, della legislazione regionale e degli attori locali di intermediazione (rappresentanze diplomatiche, settore dei servizi, strutture religiose). Ma un apporto non secondario, per un futuro di relazioni possibili, è dato anche dalla condivisione di esperienze – valore che fa, ad esempio, dell’Abruzzo, da sempre terra di migrazioni, la regione con una legislazione meno avanzata ma con un’integrazione meglio riuscita – e dalla capacità di attingere dall’«arte dello sconfinamento». Poliprospettico e denso, il volume offre al lettore molteplici spunti di riflessione; prendendo le mosse da un argomento più che mai attuale, come l’organizzazione politica ed economica dopo la “crisi dello Stato- Nazione”, suggerisce una strada intermedia tra federalismo e regionalismo da un verso ed europeismo dall’altro, privilegiando le «relazioni di prossimità» e il concetto di Euroregione; rimette in discussione il nesso territorio-identità; richiama nodi storiografici che sono al centro di vivaci e ricorrenti dibattiti, come il rapporto centro-periferia o centralismo-decentramento; avanza ipotesi per avviare più incisive politiche sociali e culturali nel nuovo spazio dell’«identità adriatica». ANNA PINA PALADINI



Monografia



Franco Angeli



2009

XXI

158 p. ; 23 cm

Politica/studi


mare Adriatico Adriatic sea

Italy

Italiano




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