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Itineraria. Letteratura di viaggio e conoscenza del mondo dall’Antichità al Rinascimento / VII , 2008 - 175 p. - recensione a cura di Mariana Cocciolo.


Itineraria (letteratura di viaggio e conoscenza del mondo dall’Antichità al Rinascimento), della Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, è una rivista che propone studi inerenti al tema del viaggio, inteso sia in senso reale, in ordine alle categorie del tempo e dello spazio, che in quello lato, simbolico e metaforico, che si compie in una dimensione sconfinata. Gli ambiti di trattazione sono pertanto, allargati ad un’ampia prospettiva di approccio, che, partendo dalle connotazioni spaziali dell’ambito euromediterraneo, e da quelle temporali che scandiscono la tradizione culturale dall’antichità classica, lungo tutto il Medioevo, fino al Rinascimento, mira ad estendersi ben oltre le colonne d’Ercole, consentendo agli studiosi e agli amanti del genere odeporico, sempre nuove e interessanti esplorazioni.

 

Marco Martin, Aspetti etnografici del trattato sul Mar Rosso di Agatarchide di Cnido – pp 1-13

Studio filologico e comparato sul trattato parzialmente superstite di Agatarchide (200/190 – 105 circa AC) storico ad Alessandria presso la corte Tolemaica. L’autore del testo propone per la prima volta la denominazione di Mar Rosso ad indicare il Mare Eritreo, nel senso attuale e più specifico; riferisce, inoltre, notizie antropiche, ma anche zoologiche, che coniugano etnografia scientifica e osservazioni empiriche in un complesso filosofico unitario; il sapere risulta così organizzato, all’interno del testo, in ordine a concetti fondamentali come la synetheia e l’ethismos, ovvero l’attitudine delle popolazioni eritree all’adattamento ambientale e all’ottimizzazione delle risorse naturali; l’excursus proposto muove dalla bios teroides.(vita primitiva) delle popolazioni del Mar Rosso, fino alla decadenza, che inizia proprio dai primi fenomeni di turbamento della vita primitiva; numerosi sono gli episodi che nell’opera vengono riferiti, a titolo di esempio. L’occasione della stesura del testo potrebbe essere stata celebrativa dell’evento della prima traversata dell’Oceano Indiano compiuta da Eudosso nel 117 a. C.; gli intenti determinanti la composizione dell’opera risultano essere di carattere polemico politico, contro l’imperialismo tolemaico sostenuto da Roma.

 

Lucia De Salvo, I “Neri” nell’Anthologia latina – pp. 15-51

Studio comparato di testi poetici tratti dall”Anthologia latina”, redatta a Cartagine intorno al 530 e tramandata dal cod. Salmasiano e dal cod. Vossiano Latino F III, sui concetti (e sui preconcetti) verso la diversità di colore e di tratti fisionomici delle stirpi negroidi in età tardoantica. I richiami alla negritudine si concentrano in alcuni carmi che hanno come protagonisti uomini e donne di colore, ovvero che trattano indirettamente l’argomento. Dall’analisi dei testi poetici tratti dall’Anthologia Latina, la studiosa deduce che in età tardoantica non era diffuso un atteggiamento univoco verso i melanodermi: infatti, se da una parte, la negritudine veniva rappresentata come una caratteristica inquietante, dall’altra non sono espresse preclusioni per il colore nero della pelle. I canoni della bellezza femminile, come si evince dai testi, sono più propensi a valorizzare la pelle bianca, ma molto frequentemente, sempre in riferimento ai testi poetici, è dato di poter evincere ammirazione e fiducia per le qualità intellettive e morali delle persone dalla pelle nera.

 

Clara Fossati, Alla ricerca delle pietre preziose, - pp. 53-61

Ricerca sulle attestazioni delle pietre preziose e sulle proprietà relative nell’ambito dei seguenti testi: G. Boccaccio, Decameron; Marbodus Rodoens, De lapidibus; Isidoris Hispeniensis Episcopus, Etymologiarum sive origine; ad eccezione del primo testo, letterario, gli altri due, lapidari medioevali, hanno carattere scientifico e riferiscono i nomi, le proprietà specifiche, talvolta anche la provenienza geografica delle pietre classificate. Dai lapidari in questione risultano le descrizioni del diamante, dello zaffiro, dello smeraldo; ancora dell’agata, della galattite, del berillio, del crisoprasio, dell’ametista; e poi, del magnete, del pantero, della malachite, del topazio, del cristallo e di molte altre pietre, di provenienza prevalentemente asiatica o africana; vengono segnalati, altresì, minerali la cui origine sarebbe animale: l’alettoria, originata in ventriculo galli, la calidonia, che si troverebbe nel ventre delle rondini, il lincurio, che sarebbe espulso nelle urine della lince, l’etite e la salenite, che si troverebbero nei nidi di aquila; origine anomala, secondo le segnalazioni dei lapidari medievali hanno anche la chelonite, prodotta dalla testuggine indiana, la iena, omonima all’animale dai cui occhi essa viene estratta e la perla. Le conoscenze che emergevano nei lapidari confluiscono, in forma letteraria, in un testo che, da ultimo, viene proposto e analizzato dall’autrice nella parte specifica relativa all’argomento della sua trattazione: La lettera del Prete Gianni, risalente alla seconda metà del XII secolo, che riporta la descrizione di un regno fantastico, con i suoi palazzi, le cui sale sono tempestate e arredate con gemme tra le più rare, ricercate e preziose..

 

Roberto Angelini, Saraceni e cristiani in Terra Santa nella “cronica” di Salimbene da Parma, pp. 63-72

L’autore ripropone, in questa sede, il testo presentato e discusso in occasione del VIII seminario del centro internazionale di Studi “La Gerusalemme di San Vivaldo”, dal titolo: La Palestina nella coscienza dell’Occidente dal secolo XIII al XVI (Montaione-San Vivaldo, 2-4 luglio 2003). Lo studio si fonda sull’analisi della cronica di Salimbene da Parma, in riferimento al ruolo ricoperto dai Saraceni, non solo al tempo delle Crociate, ma anche nel corsi degli eventi della Reconquista spagnola. Le vicende di Palestina e di Spagna si intersecarono, infatti, nel 1212, allorché i re di Aragona, Navarra e Castiglia intrapresero la crociata già voluta da papa Innocenzo III, per respingere i Saraceni sempre più a sud della penisola Iberica; tentativo riuscito, a prescindere dalla resistenza dei musulmani, volta al recupero delle postazioni perdute. L’immagine dei Saraceni tramandata da Salimbene è complessivamente negativa: trattasi di nemici crudeli e infidi con i quali non è mai opportuno ecendere a patti; essi si rivelavano di gran lunga peggiori dei Mongoli, che, nella prima metà del XIII secolo, incombevano minacciosamente sul Mediterraneo, salvo ritirarsi nel 1241, alla morte del khan Ogödei. I Tartari non avrebbero più minacciato l’Europa, anzi, sarebbero stati attratti nell’orbita dei potenziali alleati contro l’Islam, per effetto delle trattative diplomatiche e di un’auspicabile opera di conversione al cristianesimo. I Saraceni, al contrario, si sarebbero caratterizzati sempre più come nemici antitetici del cristianesimo: nella cronaca, il Saladino viene, infatti, identificato come una delle sette teste del dragone rappresentato nell’Apocalisse di S. Giovanni, con particolare riferimento ai fatti che vanno dal 1185, anno della morte di re Baldovino, al 1191, anno della caduta di S. Giovanni d’Acri, ultimo baluardo cristiano in Terrasanta. La cronaca di Salimbene riferisce anche gli avvenimenti successivi alla caduta di S. Giovanni d’Acri, e si sofferma sulla condotta dei sovrani europei, quali il Barbarossa e Filippo Augusto di Francia, e su figure di spicco nelle azioni militari, come quella di Riccardo Cuor di Leone. Basandosi sulla testimonianza paterna, Salimbene riporta nel testo i fatti occorsi nel corso della IV crociata, e poi, sulla base di altre testimonianze, i fatti relativi alla V crociata e all’azione diplomatica di Federico II, quest’ultima considerata negativamente, per l’intensificarsi dei rapporti diplomatici tra cristiani e musulmani, sempre considerati perfidi e astuti, capaci di ricorrere a stratagemmi pur di non combattere. Nella cronaca, l’autore indica l’anno della propria nascita: 1260; i fatti successivi a questa data sono raccontati sulla base della sua testimonianza oculare.

 

Attilio Grisafi, Nulla causa potentior quam pelagi metus”: paure metaletterarie e altre riflessioni sull’itinerarium di Francesco Petrarca, pp. 73-85

Lo studio rivela l’occasione della composizione, i modelli, lo scopo, le caratteristiche dell’itinerarium petrarchesco, ma anche le motivazioni inconsce che ne accompagnarono la stesura. Sulla base della distinzione proposta da J. Richard, a proposito dei diversi generi relativi alla letteratura odeporica medievale, Grisafi propone di inserire l’itinerarium petrarchesco nel primo sottogruppo, quello delle guide al pellegrinaggio, felicemente inaugurato dall’itinerarium Burdigalensis, la più antica guida per pellegrini diretti in Terrasanta. In effetti, Francesco Petrarca, nel 1358 invitato dall’amico Giovanni Mandelli a condividere il cammino verso Gerusalemme, declinò, per timore di affrontare le difficoltà e i pericoli de viaggio, procedendo, invece, per non deludere l’amico, alla stesura di una guida utile al viaggio. Il testo, di struttura epistolare, che doveva servire da brevis itinerarii loco, già nell’incipit rivela, comunque, impronte ciceroniane e senechiane; queste ultime si rilevano, soprattutto, attraverso la chiara attinenza alle Epistulae ad Lucilium, anch’esse caratterizzate, per altri versi, dalla funzione consolatoria per l’assenza dell’amico. Al di là della struttura e dell’esordio, altri elementi riferibili alla poetica di Seneca ricorrono nell’opera, come viene evidenziato nel dettaglio. Tra i chiari motivi di confronto che avvicinano l’itnerarium petrarchesco alle Epistulae di Seneca, il Grisafi si sofferma in particolare sul pelagi metus, descritto da entrambi gli autori negli aspetti propriamente fisici, ma anche psicologici, con particolare riguardo per la perdita dell’autocontrollo. La digressione potrebbe esser servita all’Aretino per giustificare il suo rifiuto di accompagnare il Mandelli, connotandosi, dunque, funzionalmente, nell’economia del testo, ala conservazione di rapporti amichevolmente intessuti, nonostante il diniego.

 

Marcello Garzanti, Alla scoperta dell’Oriente. Il “viaggio peccaminoso” del mercante russo Afanasij Nikitin, pp. 87-107

Lo studioso presenta il Viaggio al di là dei tre mari (1471-1474) prima e preziosa testimonianza sull’India di un viaggiatore russo, che, pur descrivendo il viaggio di un mercante, presenta le caratteristiche di un testo letterario di pellegrinaggio: il tempo del viaggio è scandito dalle feste liturgiche; vengono segnalate le diverse tappe, indicate le distanze, precisati i tempi di percorrenza; sono, inoltre, descritti i pericoli e il superamento di essi, con l’aiuto della provvidenza divina. Rispetto ai diari di pellegrinaggio, il racconto di Afanasij risulta, tuttavia, arricchito dall’indicazione della presenza di mercati e dalla loro descrizione, dato lo scopo dichiarato del viaggio; inoltre, dalle finestre descrittive, che illustrano la vita religiosa, politica e sociale dell’India. Il motivo dominante nel testo è rappresentato, comunque, dal processo di disorientamento spirituale che coglie e accompagna il mercante dal momento in cui, essendogli stati rubati i libri e le tavole dalla Pasqua, strumenti indispensabili per le pratiche religiose, egli resta in preda al disorientamento; il processo di elaborazione interiore procederà parallelamente al viaggio, fino alla conversione del mercante all’Islam. Il racconto di viaggio è caratterizzato perciò dalla compresenza di citazioni bibliche o liturgiche e di formule tipiche della devozione islamica, e dall’uso di diverse lingue (russo, persiano, turco, slavo). Il testo considerato, nella sua complessità, “rappresenta una nuova interpretazione dello spazio russo in rapporto all’Oriente, proprio nel complesso momento storico in cui la Russia stava ricostruendo il proprio ruolo nell’arena internazionale”.

 

Marina Montesano, Michele da Figline: un pellegrino toscano tra l’Egitto e Gerusalemme (1489-90), pp. 109-125

Il pellegrino che il 22 maggio 1489 si imbarca da Venezia per la Terrasanta si chiama Michele da Figline (località del Valdarno), è un prete; la sua testimonianza, in forma di itinerarium arricchisce il filone letterario odeporico che in quegli anni andava intensificandosi, parallelamente ai viaggi. Il testo del diario di Michele da Figline, come osserva la studiosa, può essere comparato con una relazione di viaggio che non solo è coeva, ma che si riferisce, per di più, allo stesso cammino, effettuato nello stesso tempo: nel 1488, infatti, anche Agnolo della Stufa, ambasciatore della Repubblica di Firenze, recatosi presso il sultano d’Egitto, da lì prosegue per la Terrasanta. I due viaggiatori si incontrano proprio in Egitto e di lì procedono insieme, percui, il medesimo viaggio, caratterizzato da episodi non comuni, risulta essere stato narrato da due fonti, che differiscono solo nella prima parte, quella in cui sono descritti viaggi separati. Il racconto di Michele da Figline appare, tuttavia, più dettagliato, rispetto a quello dell’ambasciatore veneto, poiché fortemente caratterizzato da una vena descrittiva, non solo in riferimento ai luoghi e alle situazioni, ma soprattutto in riferimento agli usi e ai costumi delle popolazioni locali; sono i mamelucchi a suscitare maggiore interesse nell’autore del diario e al sistema politico, alle consuetudini religiose, al ruolo della donna, alla presenza di eunuchi, al cibo e alle modalità di preparazione delle pietanze il viaggiatore dedica la sua attenzione.

 

Silvana Fossati Raiteri, Presenze genovesi a Siviglia ai tempi di Colombo, pp. 127-136

Gli esiti dello studio sono stati oggetto di comunicazione presentata al Mediterranean Studies Association (Genova, 24-27 maggio 2006). A partire dal 1161, ma in particolare dopo il 1231 (anno di stipula di una convenzione con l’emiro di Siviglia), è attestata la presenza di mercanti genovesi in città. L’esistenza della categoria, piuttosto numerosa nella città di Siviglia,, è legata alla progressiva acquisizione di una posizione privilegiata sul piano politico e su quello civile, posizione spesso contrastata, e tuttavia permanente nel tempo. Dalla documentazione relativa, consistente in atti prevalentemente notarili e nel Libro dei privilegi, è dato di poter dedurre i nomi delle persone che formavano al tempo la comunità dei mercanti genovesi a Siviglia e le cariche pubbliche che alcuni di essi andarono a ricoprire. Emergono le famiglie dei Pinelli, dei Grimaldi, dei Boccanegra; risultano altresì legami tra i mercanti genovesi di Siviglia e Cristoforo Colombo.

 

Giuseppe Rocca, La via Francigena in Val di Magra: un bene storico-culturale da valorizzare. Pp. 137-169

Lo studioso pone in relazione la riscoperta del patrimonio storico-culturale (heritage) con la definizione dell’identità individuali, comunitarie e nazionali e con gli aspetti caratterizzanti del legame tra uomo e territorio, quali il turismo e la sostenibilità. In quest’ottica, la via Francigena costituisce un tassello importante per la ricostruzione di quel periodo plurisecolare che è costituito dal medioevo in ambito euromediterraneo. Legata ai pellegrinaggi, ma più in generale ai passaggi di intellettuali e artisti, come di eserciti, costellata da “spedali”, pievi, abbazie, cappelle, fortificazioni, ponti, cippi votivi, la Francigena, in tutta la sua interezza, si presta a scopi di natura didattica e turistica. L’attenzione del Rocca si concentra, tuttavia, su una precisa area geografica di riferimento: la Lunigiana storica e la media e alta Val di Magra, in termini fisico-ambientali e umani (politici economici e sociali). Quello proposto è un excursus storico; che predilige, in termini più circoscritti, gli aspetti del pellegrinaggio medievale lungo la Francigena, verso Roma e poi alla volta di Gerusalemme, con opportuni riferimento agli itineraria (ad esempio quello dell’arcivescovo di Canterboury, datato al 990 e quello dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera, datato al 1151). Tra i luoghi menzionati, particolare importanza rivestono gli xenodochia, fondazioni ospitali, di cui lo studioso fornisce un elenco (Santa Maria della Cisa, San Benedetto di Montelungo, San Giorgio di Pontremoli, etc). L’autore esamina altresì la circolazione dei modelli artistici e culturali lungo la direttrice, e le tradizioni permanenti nella storia del folklore e nella cucina locale. Rocca propone, infine, concrete strategie di intervento territoriale.

 

Indici a cura di Clara Fossati, pp. 171-176

 

Mariana Cocciolo



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2008

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